TRA STORIA E LEGGENDA

1. LAGARIA: LA CITTA’ DI EPEO

Le fonti antiche riportano che Epeo (o anche Epeio), amico di Ulisse e costruttore del cavallo, di ritorno dalla guerra di Troia si fermò nel territorio di quella che poi divenne la Magna Grecia fondando la città di Lagaria insieme a popolazioni italiche enotrie e offrendo gli strumenti serviti per la costruzione dell’opera in un tempio dedicato alla dea Atena. Per quanto riguarda l’ubicazione di Lagaria, Licofrone (sec. IV-III a.C.) sostiene che essa vada localizzata tra i fiumi Kyris in cui Ercole aveva ucciso il drago omonimo e Kulistarno dalle acque luccicanti (Alex vv. 930, 946-950) individuabili forse nel Raganello e nel Caldana. Lo pseudo Aristotele (sec. III-II sec. a.C.) riporta l’offerta di Epeo degli utensili usati per la costruzione del cavallo alla dea Atena Hilenia (trattenitrice) di Lagaria che egli colloca non lontano da Metaponto (Ps. Aristot., Mir. Ausc., 108).

Strabone (VI,I,14 c 253) nella sua descrizione che risale la regione verso nord colloca Lagaria subito dopo Thurii e prima di Metaponto descrivendola come una cittadella fortificata famosa ai suoi tempi per un “vino dolce e soave molto apprezzato dai medici”.  Il vino di Lagaria è tra quelli celebrati fra i  migliori dell’Italia antica anche da Plinio il vecchio (I sec. d.C.) che pone il sito non lontano da Grumentum (Pl.in. Nat. XIV, 69). Se si eccettuano altri autori greci e latini che riprendono quanto affermato dai loro predecessori, le citazioni su Lagaria riprendono dopo il XV secolo con Parrasio, Leandro Alberti, Gabriele Barrio e Marafioti che nei loro scritti sulla Calabria collocano la città di Epeo a nord di Thuri.  In tempi moderni diversi sono i centri della Calabria (Amendolara, Cassano, Castrovillari, Trebisacce, Nocara, Rocca I.) e della Lucania (Termitito di Scanzano, M. Coppolo di Rotondella,)  cui gli studiosi hanno attribuito il nome della città fortificata di Lagaria. L’ipotesi di Francavilla appare tra quelle più probabili sulla base dell’evidenza archeologica e delle fonti che sembrano confermare molti dei dati tramandati dagli autori antichi. Un primo elemento in tal senso è dato dalla presenza sull’acropoli di Timpone Motta di un tempio consacrato ad Atena, cui dedica una tavoletta in bronzo l’olimpionico Kleombrotos e nel quale probabilmente trova continuità la tradizione di un atleta e idroforo (portatore d’acqua) quale fu appunto Epeo che presso il tempio di Atena Eilenia (trattenitrice) dedicò gli strumenti usati per la costruzione del cavallo (Pseudo Aristotele Mir. Ausc. 108).  La presenza di una tomba monumentale rinvenuta nel cosiddetto cerchio reale della necropoli enotria, pare lasci ipotizzare “il rifacimento, con finalità di eroizzazione, di una tomba precedente” (Brocato 2014). E’ probabile che, come afferma la Kleibrink, “la presenza a Francavilla di scultori/carpentieri d’elite con ruoli di alto rango sociale, abbiano ispirato i pionieri greci a far circolare il mito di Epeo come un buon collegamento tra se stessi e gli indigeni enotri”. Tale sepoltura, unitamente all’offerta di vasi (hydriskai) colmi d’acqua alla dea Athena hanno reso rilevante il mito di Epeo sia per gli Enotri che per i Greci, da cui lo sviluppo del santuario che divenne uno dei maggiori luoghi religiosi della confederazione Sibarita, in cui affluivano pellegrini da ogni dove, recando doni ed ex voto che, malgrado i saccheggi operati dai clandestini moderni, rappresentano una parte importante dei reperti esposti oggi nel Museo Nazionale di Sibari.

Veduta della piana del Crati dall’altura di Lagaria- (Itineraria Bruttii onlus)

   

2. EPEO NELLE FONTI ANTICHE

L’importanza del mito di Epeo è testimoniata da diverse fonti antiche tra cui principalmente Omero che nell’Iliade (XXIII, 653-699) presenta il figlio di Panopeo come più esperto nel pugilato e nelle tecniche artigianali che nella guerra. Egli nei giochi funebri in onore di Patroclo partecipa alla gara di pugilato contro Eurialo che minaccia con parole forti prima dello scontro intimandogli: “farò della  pelle massacro, delle ossa poltiglia! Si trattengano qui tutti insieme i suoi cari, pronti a portarlo via, caduto sotto i miei pugni”.   Ma egli mostra anche un “grande animo” quando dopo aver abbattuto a terra il suo avversario lo rialza offrendogli sostegno. Continuando i giochi egli poi confessa i propri limiti quando dopo aver sbagliato il lancio del peso ammette come non sia possibile eccellere in tutte le arti.

Nell’Odissea egli è ricordato in due occasioni come il costruttore del cavallo di Troia. Nel primo passo l’eroe viene menzionato nella richiesta che Odisseo fa a Demodoco: «canta l’ideazione del cavallo di legno che una volta Epeio fabbricò con l’aiuto di Atena e che il nobile Odisseo portò a mo’di trappola sulla rocca, dopo averlo affollato di eroi che saccheggiarono Ilio» (Omero, Odissea, VIII, 492-495). Nel secondo passo invece Odisseo, sceso nell’Ade, narra ad Achille la sorte del figlio Neottolemo, ricordando come egli abbia preso posto, con grande coraggio, all’interno del cavallo fabbricato da Epeo (Omero, Odissea, XI, 523).

Ateneo uno scrittore greco del II sec. d.C.  nel riportare alcuni versi del poeta Stesicoro, poeta magno greco del sec. VII a.C., ci informa del suo ruolo di idroforo (portatore d’acqua) dei re Menelao ed Agamennone (Ateneo, I Deipnosofisti, X, 457), attività subalterna che muove a compassione Athena  che ne valorizzerà la figura con il ruolo avuto nella caduta di Troia. La sua attività di umile portatore d’acqua, gli consente di entrare in rapporto con Atena e quindi di essere da lei poi ispirato nella realizzazione del cavallo ligneo, allo stesso modo in cui, probabilmente, i fedeli dell’Athena di Lagaria-Francavilla si ispirarono a lui nel percorso di pellegrinaggio ed elevazione, rappresentato dalle tante offerte di brocchette per l’acqua (idryskai) rinvenute ai lati dei templi sull’acropoli.

Epeo è citato anche nella tragedia Troiane di Euripide come «Quell’Epeio focese del Parnaso, ispirato dai consigli di Pallade, un cavallo edificò pesante d’armi e lo condusse dentro le mura, luttuoso simulacro» (Euripide, Troiane, vv. 9-12). Una evoluzione negativa nel giudizio storico-letterario di Epeo si ha a partire forse da Euripide e tramite la commedia attica di Cratino fino a Licofrone (Alex vv. 930, 946-950) che descrivono Epeo come un guerriero modesto e pauroso poco abituato a combattere sui campi di battaglia, sebbene utile all’esercito per le sue abilità di artigiano.

Apollodoro di Atene (II sec. a.C.) nei suoi studi su Omero lo ricorda quale vincitore della gara di pugilato nei giochi funebri in onore di Patroclo e nel colloquio con Ulisse per la costruzione del cavallo, in cui si soffermano sulla scelta del legname dal monte Ida e sul modo di creare lo spazio interno per i guerrieri (Epitome 4, 8). Epeo è uno dei personaggi principali anche dei fatti successivi al racconto dell’Iliade che Quinto Smirneo narra nei Posthomerica, un poema epico scritto intorno alla prima metà del III sec. d.C.  Qui, oltre all’episodio relativo ad uno scontro di pugilato con Acamante, Epeo è protagonista insieme ad Ulisse, sia del sogno premonitore in cui Athena svela ad entrambi la strategia del cavallo, sia della rapida costruzione dello stesso su cui sale per ultimo insieme ad altri trenta guerrieri. Luciano di Samosata scrittore sofista del II sec. d.C. nella sua Storia Vera lo colloca in un’isola dei Beati dove vivono personaggi famosi di tutti i tempi, descrivendolo in una gara di pugilato finita in parità con l’egiziano Areio  (Storia vera, II, 22).  Platone lo ricorda nello Ione annoverandolo insieme a Dedalo e a Teodoro di Samo tra i più grandi scultori della Grecia arcaica,.  come autore di statue in pietra ed in legno. Pausania storico greco del II sec. d.C.  ricorda le statue di Afrodite ed Hermes realizzate da Epeo per il tempio Apollo Licio di Argo oltre a varie statue in legno (xoanon) realizzate in Tracia ed in Grecia. Simia di Rodi, nella technopáignia scritta nel II sec. a.C., riporta la possibile iscrizione dedicatoria di Epeo sull’ascia offerta alla dea Athena: “ «L’ascia della dea Pallade, che uomo sembrò e l’aiutò, diede il focese Epeo,/ quella che un dí egli brandí, quella per cui crollo seguí delle divine mura,/ Troia perí, sacra città, l’incenerí con la letale vampa/ e ne cacciò, ne spodestò tutti i suoi re nei loro manti d’oro,/ milite no, non combatté fra le avanguardie achee,/chiaro non fu, ché carreggiò l’acqua da fonti pure,/ ma s’inserí nella gran via d’Omero/ merito tuo, Pallade santa e saggia./ Bene per chi di cuore/ benevolente miri:/ fortuna/ perenne» (trad.it. P. D’Alessandro).

Nella letteratura latina le testimonianze su Epeo sono molto meno numerose, sebbene non per questo meno importanti, in quanto costituiscono la prova indiscussa della continuazione di una tradizione storica plurisecolare. Tra gli autori latini Epeo è ricordato da Virgilio che nell’Eneide narra le vicende del cavallo e degli eroi, nascosti nel suo ventre tra cui Epeio, definito come «doli fabricator» (Eneide II, 265).  Igino ritorna sul tema del cavallo evidenziando come fu realizzato su consiglio di Minerva e avesse dimensioni enormi Favola CVIII (Equus Troianus) mentre Ovidio nei Fasti (III, 833) ricorda che “…senza l’aiuto della dea (Athena) nessuno è in grado di utilizzare l’abilità delle mani, neanche Epeo”.

Epeo viene ricordato ancora in età medievale da storici e poeti e poi ancora nel rinascimento da studiosi umanisti di ambito nazionale, tuttavia il suo nome va man mano scomparendo nella memoria dei posteri tenuto in vita solo dal ricordo della sua opera più importante che ancora oggi rappresenta una delle leggende più note della letteratura di tutte le epoche.

Epeo costruisce il cavallo da kylix attica a figure rosse (part.) 480 a.C., da Vulci

   

3. EPEO DI LAGARIA: LA LEGGENDA

……. circa tremila anni fa nei pressi del territorio ove poi fu fondata Sibari, una nave di guerrieri greci di ritorno in patria dalla guerra di Troia, stanchi per il lungo viaggio che le tempeste ed i venti del mare Ionio avevano allungato fino alle coste dell’Italia, approdarono nella fertile piana abitata dalle genti enotrie.
Dalle navi cariche di uomini, di armi e di tesori portati via da Troia, discesero uomini in cerca di viveri e di riposo. L’incontro con i guerrieri italici vide abbassarsi le lance in segno di pace ed aprire le porte del villaggio a banchetti e festeggiamenti in onore degli ospiti provenienti dal mare greco, come spesso avveniva con i mercanti micenei, fenici, adriatici e delle terre italiche del nord.
Tra gli uomini che sbarcarono, Epeo, lottatore tra i più forti ed artista di statue di dei e del cavallo che causò la caduta di Troia, colpito dalla bellezza dei luoghi e dall’ospitalità di questo popolo, decise di fermarsi in questa terra unendosi, con altri a lui fedeli, agli Enotri nella fondazione di una nuova città che volle chiamare Lagaria in onore di sua madre.
Epeo dedicò le sue armi e gli strumenti serviti per il cavallo in un tempio che volle consacrare ad Atena e che gli Italici identificarono nella dea che adoravano presso l’acropoli con libagioni d’acqua ed offerte di tessuti intrecciati al telaio da fanciulle.

Egli visse a lungo con gli Enotri insegnando ai giovani l’arte della lavorazione del legno ed i segreti della lotta e della guerra cui aveva assistito durante l’assedio di Troia, ma ammaestrò anche gli Enotri sui benefici di una pacifica integrazione tra genti e popoli diversi e sul culto degli dei.
Quando Epeo morì gli Enotri ormai lo consideravano un membro tutelare della loro comunità e fu così che trecento anni dopo quando arrivarono sulle coste ionie i coloni di Sibari, la presenza di scultori e carpentieri con ruoli di alto rango sociale tra i cittadini di Lagaria ispirò sia i Greci che gli Enotri a riprendere il suo mito come simbolo di integrazione e di pace. 

Epeo con gli strumentiu e il cavallo - elaborazione Paniotis Kruklidis - (Itineraria Bruttii onlus)